I Sardi dipendono finanziariamente dallo Stato, ben poco da quanto producono ed esportano.
Le principali fonti di reddito sono l’INPS (pensioni, assegni sociali, ecc.) e le erogazioni di sostegno al reddito, all’occupazione, alla disoccupazione. Poi ci sono le buste paga della pubblica amministrazione nelle sue articolazioni territoriali (dal Comune alla Regione fino all’ufficio periferico ministeriale). Sono tante, quasi un quarto degli occupati.
Eppure c’è ancora qualcuno, in particolare delle forze sindacali, che punta alla ripresa industriale della Sardegna, senza tralasciare l’emblema di questo modello fallimentare: il polo di Ottana, il deserto. E’ comprensibile, l’operaio è il loro pane, l’essenza della loro esistenza. Ma evitano di indicare la tipologia di sviluppo industriale.
Ricordiamoci che il modello petrolchimico e chimico richiede poca manodopera e specializzata. La materia prima ed il prezzo del prodotto finito dipendono esclusivamente dal mercato globale e non dalla borsa di Milano. Solo questo potrebbe far riflettere: quel tipo di profitto è aleatorio. Identico discorso vale per l’industria metallurgica, come l’alluminio primario. Sono investimenti che impiegano molto capitali e offrono poca occupazione.
Evidenzia giustamente Bachisio Bandinu (Noi sapevamo. Ed. Il Maestrale) che il modello industriale imposto alla Sardegna ha formato “una classe operaia disperata, nel continuo esercizio di una protesta senza soluzione, di viaggi della speranza a Roma, sempre frustrati”.
Ripercorrere queste strade sarebbe un ulteriore pesante fardello per l’isola. Si consumerebbe la nostra ricca ed unica risorsa da tutelare, l’ambiente, a cui si affianca l’assenza totale, da sempre, di notizie dell’impatto industriale sulla nostra salute.
Conclude Bandinu “Nessuna identità tra scelte economiche e tessuto sociale”. Insomma, non c’è una “coscienza identitaria” nella classe imprenditoriale sarda.
Oggi è impossibile staccarci dal cordone ombelicale con Roma e procedere autonomamente. Qualsiasi ipotesi di sviluppo non potrà fare a meno di saper cogliere cosa effettivamente il mercato desidera ma anche cosa noi sardi potremo saper offrire. Ci vuole creatività, ricerca e studio.
Le attenzioni della Regione e dello Stato sono ben altre: contributi, assistenza, rinnovi, proroghe. Sono scelte squisitamente politiche, perchè offrono una immediata soddisfazione e rimandano nel tempo soluzioni più durature ed efficaci. Perchè è necessario arrivare a fine mandato col più ampio consenso per vedersi rinnovata la poltrona o fare il salto di qualità. Un motivo di più per mandare a casa questa gente che pensa solo al benessere personale e lasciare posto a chi affronterà finalmente i problemi reali che attanagliano la nostra terra.
Basta apporre una “X” nel riquadro giusto il prossimo 4 marzo 2018